2020. Cosa ho scoperto durante il lockdown

Nel lungo tempo di lockdown, a causa della pandemia da Covid-19, ogni persona ha vissuto la sensazione di sentirsi ai margini, esclusa e allontanata dalla sua comunità, qualsiasi fosse la sua età e la sua posizione geografica. Una sensazione di esclusione che le persone gay, lesbiche e trans provano spesso sulla loro pelle, solo perché amano così come Dio li ha voluti.

Nel lockdown tutti abbiamo vissuto l’esperienza di sentirci ai margini, in un momento in cui cui  le nostre chiese sono rimaste con le porte spalancate ma inesorabilmente vuote, e le nostre piazze sono state svuotate delle voci delle nostre comunità.

E’ in questo tempo che comincia la storia che voglio raccontarvi. Ho 48 anni e sono fisioterapista in una piccola RSA  dove avvolto in tute protettive, mascherine, con visiere protettive, ricoperto di guanti e soprascarpe, durante i mesi più acuti della pandemia ho cercato di essere vicino agli spaventati ospiti della mia struttura. Molto di loro, affetti da grave decadimento cognitivo, proprio non capivano perché fossimo vestiti come ufo, perché non potessero incontrare i loro familiari se non in videoconferenza, oppure perché li supplicavo di mettere la mascherina e di stare distanti, mentre alcuni di loro (fortunatamente solo in pochi) si ammalavano e dovevano essere ricoverati nei reparti covid degli ospedali. In quei giorni ero angosciato di poter fare davvero poco per loro, se non dargli una carezza di nascosto, quando si agitavano spaventati invocando i loro cari.

Sono stati giorni cupi in cui tornavo a casa sentendomi impotente ed impreparato davanti a tanto dolore. Eppure proprio in quelle settimane in cui tutto sembrava buio la mia luce è stata continuare a fare il mio volontariato, ben piantato nel margine, con l’associazione La Tenda di Gionata.

Iniziato il lockdown noi volontari de La tenda di Gionata siamo stati sollecitati da tanti studenti gay e lesbiche rimasti bloccati lontani dai loro cari, oppure chiusi in casa con i loro cari, che ci hanno chiesto aiuto, conforto, ascolto. Io con altri volontari ed un pugno di genitori dell’associazione ci siamo messi in moto. Sono nati così on line tanti momenti di incontro giornaliero o settimanali in cui genitori dell’associazione incontravano on line figli che non erano loro; li ascoltavano e li stringevano metaforicamente a se facendogli coraggio; in quei mesi  due psicologi ed anche alcune suore e sacerdoti, visto che le chiese erano vuote, hanno offerto il loro tempo per sostenere quei genitori o i loro figli, ma entrambi prigionieri delle loro case.
Io, finite le mie ore nella Residenza Sanitaria in cui lavoro, dopo una breve doccia, seppur stanchissimo ero impegnato con altri volontari a curare i collegamenti on line (a gestite le stanze di Meet, si dice in gergo), affinché le persone potessero incontrarsi, parlarsi e sostenersi.

In questi tre mesi ho ascoltato tante storie e ho visto la generosità concreta di tantissime persone (mai ne ho incontrate così tante, come in questo tempo d’isolamento). Persone che sostenevano, aiutavano e accompagnano altre persone in difficoltà. In quei mesi sono nate amicizie tra molti di loro camminando in questa inedita “periferia esistenziale”. La generosa umanità che affollava i miei lunghi pomeriggi mi ha aiutato, in quei giorni, a non mollare e a conservare la forza per stare vicino con umanità a chi si è trovato solo e spaesato, sino a quando è terminato il lockdown.

Così ora, che tutto è più tranquillo, che ho potuto finalmente riaccompagnare i miei pazienti a rivedere il sole sulla grande terrazza della mia struttura sanitaria, in cui ho potuto vederli di nuovo sorridere, mentre si godono i caldi raggi del sole, ho ripensato a quei giorni passati e mi sono detto che è proprio vero: vivere nel margine insieme agli altri ci cambia ma ci da anche tanta forza, anche quando tutto si fa buio. Almeno questo è capitato a me.

Grazie per aver ascoltato questa piccola storia.